CINEMA

Rondò final

(ITA, 51′, 2021)

di Gaetano Crivaro, Margherita Pisano, Felice D’Agostino

Cent’anni di immagini cercate e ritrovate, frammenti di pellicola, nastri di
famiglia, pixel; segni e simboli di un rito che si ripete fuori dal tempo e
che porta con sé le maschere di dominazioni passate e presenti di un’isola: la
Sardegna. Cosa sfugge? Cosa resta? È domanda e risposta che fonda il montaggio; un
incontro di sguardi in differita che rinnova e rifonda un tempo e uno spazio
altro, sospeso tra sogno e ricordo.

Gaetano Crivaro (1983) è un regista e videoartista con base a Cagliari.
Nel 2009 realizza il suo primo film “I LOVE BENIDORM” che vince il premio
del pubblico al DocumentaMadrid2010. Nel 2012 frequenta il Master en
Documental de Creaciòn a Barcellona dove sviluppa il soggetto per il film
STRETTO ORIZZONTE, finalista al Premio Solinas. Nel 2014 fonda il collettivo
L’Ambulante che si occupa di produzione, film di ricerca e distribuzione
cinematografica. Dal 2015 il collettivo avvia il progetto di ricerca e
sperimentazione VideoRitratti e nello stesso anno prende il via un progetto
di ricerca sul riuso di immagini pre-esistenti “Cinema di Seconda Mano” da cui
nasce Rondò final.

Margherita Pisano (1981) è una ricercatrice indipendente e documentarista.
Si occupa di tematiche legate al diritto alla città, alle pratiche di
trasformazione della città dal basso e alle potenzialità d’uso del cinema
nell’interazione con i territori. Nel 2011 realizza Good Buy Roma, selezionato
in numerosi festival (Bellaria FF, Visioni Fuori Raccordo). Tra i suoi lavori
Hey Boys (2019), En Route (2018), Video Ritratti (serie di corti documentari
e video installazioni realizzati in diversi territori – Sicilia, Sardegna,
Colombia). Nel 2014 fonda L’ambulante, un collettivo che realizza progetti
artistici, cinematografici e di ricerca. Con il collettivo è da alcuni anni
impegnata in progetti sperimentali sul cinema a base d’archivio, con un
attenzione agli aspetti sonori. Il film “Rondò final” è uno di questi progetti.

Felice D’Agostino (1978) lavora da 20 anni come regista, operatore e montatore.
Le sue opere, realizzate quasi tutte in Calabria insieme ad Arturo Lavorato,
sono state presentate in numerosi festival e hanno ricevuto numerosi premi
come il Premio Orizzonti alla 68° mostra del Cinema di Venezia, miglior
documentario al Torino Film festival nel 2005, il premio Casa Rossa Doc al
Bellaria Film Festival nel 2006 e una menzione speciale ai Nastri D’Argento
nel 2012. Vive e lavora tra Parigi e l’Italia.


Marx può aspettare

(ITA, 100′, 2021)

di Marco Bellocchio

Camillo muore nel 1968. Quasi cinquanta anni dopo, Marco riunisce tutta la sua famiglia per un pranzo. Con i suoi familiari si interroga su Camillo, il suo gemello scomparso a soli 29 anni. I fratelli. I nipoti. La sorella della fidanzata del tempo. Uno psichiatra. Un prete. Parlando con ognuno di loro, rievocando quegli anni e quei fatti, Marco ricostruisce i tasselli del passato, dando finalmente corpo a un fantasma con cui ha fatto i conti per tutta la vita. Marco Bellocchio, attraverso la sua famiglia, fa rivivere la storia di suo fratello, senza filtri o pudori, quasi un’indagine, che ricostruisce un’epoca storica e tesse il filo rosso di tanto suo cinema.

Dopo aver seguito, a Londra, i corsi di cinema della ‘Slade School of Fine Arts’ (dove elabora una tesi sul cinema di Antonioni e Bresson), nel 1965 fa il suo esordio alla Mostra del Cinema di Venezia con “I pugni in tasca”, opera che affronta il progressivo sgretolamento dei valori su cui si basa la famiglia. Negli anni successivi si avvicina al cinema militante: il suo anticonformismo (e le sue tendenze ideologiche di estrema sinistra), trovano uno sbocco in film come “La Cina è vicina” (1967) e “Nel nome del padre” (1971). Nello stesso periodo allestisce al Piccolo Teatro di Milano un’edizione politicizzata del “Timone d’Atene”, di William Shakespeare. Minor successo hanno invece film come “Sbatti il mostro in prima pagina” (1972) sul mondo del giornalismo, e “Matti da slegare” (1975) sui manicomi italiani, scritto con Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Dopo “Marcia trionfale” (1976) sugli ambienti delle caserme e del servizio militare, Bellocchio si dedica alla televisione con due produzioni: la regia del “Gabbiano” di Cechov (1977) e l’inchiesta collettiva “La macchina cinema” (1978). Nel 1982 – diciotto anni dopo “I pugni in tasca” – torna ad analizzare il suo passato familiare con “Gli occhi, la bocca” cui fanno seguito, nel 1984 “Enrico IV” (tratto dalla commedia di Luigi Pirandello) e “Il diavolo in corpo” (1986) una libera interpretazione del romanzo omonimo di Raymond Radyguet. Dopo “La condanna” (1991), vince l’Orso d’Argento al Festival di Berlino con “Il sogno della farfalla” nel 1994. Nel 1999 realizza “La balia” (tratto da una novella di Pirandello) che vince il David di Donatello per i costumi e quattro Ciak d’Oro, per la migliore attrice non protagonista, la fotografia, la scenografia ed i costumi. Nel 2003, con “Buongiorno, notte”, ottiene a Venezia il premio per il contributo artistico individuale di particolare rilievo. Tre anni dopo è al festival di Cannes con “Il regista di matrimoni”, film che ottiene anche i Nastri d’argento per il miglior soggetto e montaggio. Il 2008 lo vede ancora una volta protagonista a Cannes con “Vincere”, un dramma che porta alla luce la storia d’amore segreta tra il Duce e la trentina Ida Dalser, che vale alla protagonista Giovanna Mezzogiorno il Nastro d’argento come migliore interprete femminile. Nello stesso anno partecipa anche al documentario “Negli occhi” che la stessa Mezzogiorno ha dedicato a suo padre Vittorio e che viene proposto nella sezione ‘Controcampo italiano’ della 66^ Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2012 è ancora una volta a Venezia con “Bella addormentata” (che vale al giovane Fabrizio Falco il premio Marcello Mastroianni, come miglior attore emergente) in cui riprende i suoi grandi temi – la gioventù, la libertà, la follia, la manipolazione politica del corpo e delle coscienze – mettendoli a confronto con uno dei casi più controversi del nostro Paese: quello di Eluana Englaro. Nel 2007 riceve il Globo d’oro Globe alla carriera. Nel 2011 riceve il Leone d’oro alla Carriera alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel 2014 riceve il Premio Speciale dell’Ente David di Donatello. Dal 2014 è presidente della Cineteca di Bologna. A Cannes 74 riceve la Palma d’Oro d’Onore (2021).


Octavia

(ITA, 14′, 2018)

di Federico Francioni, Yank Cheng

Un mappamondo si scompone nelle mani di bambini, alla loro prima esplorazione. Addentrandosi nella foresta, le immagini ci vengono incontro; poi un temporale coglie alla sprovvista i bagnanti. In cielo si avvertono i segni di una guerra che si pensava lontana; una donna aspetta un ritorno, ma tutto sta cambiando. Octavia è la città sospesa sul vuoto.


2061

(ITA,9′, 2021)

di Danilo Monte

Questo film, attraverso le riprese e gli home movies di cui è composto, ritrae nel passato e nel presente la zona di Torino che nel 1961 fu teatro dell’esposizione internazionale del lavoro ITALIA ‘61. In quell’occasione venne edificato un intero quartiere per celebrare, attraverso opere avveniristiche, il progresso e il benessere dell’Italia del boom economico. Il ‘61 è stato anche l’anno in cui l’immigrazione dal sud verso il nord Italia raggiunse il suo picco massimo e furono proprio questi “nuovi torinesi”, provenienti da tutte le regioni d’Italia, a recarsi in massa a visitare l’esposizione.
Oggi insieme al poeta e immigrato marocchino Mohamed Amine Bour, attraversiamo questi luoghi come alieni provenienti da un futuro che appare già vecchio, per riflettere su cosa sia rimasto di quella promessa di progresso e per abbandonarci alle coccole della memoria.

Danilo Monte è un cineasta con forte vocazione realista e autobiografica. Allievo di Alberto Grifi, nel 2014 gira “Memorie, in viaggio verso Auschwitz”, con il quale affronta il rapporto difficile con suo fratello. Questo film vince il premio Avanti al 32° Torino Film Festival e viene distribuito nei cinema italiani nell’ottobre 2015 da Lab80 Film.
Nel 2016, in co-regia con la moglie Laura D’Amore, affronta il tema della fecondazione assistita in “Vita Nova”.
Questo lavoro ha la sua anteprima al Festival dei Popoli e vince il premio SIAE al Salina Doc Fest nel 2017. Nel 2019, racconta il primo anno di vita di suo figlio Alessandro in “Nel Mondo”, il film viene presentato nel concorso internazionale di Filmmaker Festival.
www.danilomonte.com


Africa bianca

(ITA, 24′, 2020)

di Filippo Foscarini, Marta Violante

Il colonialismo italiano rimane ancora oggi avvolto nell’ombra. Con un’accurata selezione di suoni e immagini dell’epoca, il film racconta l’invasione dell’Etiopia del 1936 attraverso i disegni del quaderno di un piccolo balilla.

Filippo Foscarini si è laureato con una tesi di Letteratura Comparata presso l’università Ca’ Foscari a Venezia. Attualmente studia Cinema Documentario presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Palermo.
Marta Violante (Milano, 1991) fa parte del collettivo di filmmakers La Bandita. Ha studiato cinema documentario presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, si è laureata in Comunicazione Audiovisiva all’Università di Valencia ed ha vissuto diversi anni in Messico, dove ha co-diretto il documentario Lirio Mendoza e lavorato come assistente al montaggio.


Il secondo principio di Hans Liebschner

(ITA, 88′, 2020)

di Stefano P. Testa

Johannes “Hans” Liebschner ha filmato la sua vita dal 1963 al 2012. Classe 1927, giunse in Italia per la guerra e ci rimase per amore di Iole, giovane bergamasca, dalla cui unione nacquero cinque figli maschi. In cinquant’anni di riprese amatoriali Hans realizza l’intimo racconto di una famiglia unita e felice, ma nel 2013, anno della sua morte, i suoi filmati finiscono in vendita in un mercatino dell’usato. Chi fu a disfarsi di quei preziosi ricordi? I figli Klaus e Peter tentano di svelare il mistero, ripercorrendo la storia di una famiglia che attraversa le trasformazioni sociali e culturali a cavallo del terzo millennio, incrociandosi con l’evoluzione tecnologica ed espressiva del cinema amatoriale.

 

Stefano P. Testa

Diplomato nel 2011 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, Stefano P. Testa collabora con Lab 80 film in qualità di operatore di ripresa, montatore video, tecnico di color correction post produzione video. Dallo stesso anno è responsabile della comunicazione audiovisiva del festival internazionale Bergamo Film Meeting. Tra il 2015 e il 2019 prende parte a numerose produzioni cinematografiche tra cui Umberto Eco, sulla memoria e L’Accademia Carrara – il museo riscoperto entrambi diretti da Davide Ferrario; realizza il montaggio e cura la post-produzione di Colombi e Pierino, entrambi di Luca Ferri, il primo presentato in anteprima mondiale alla 73a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti Corti e il secondo in anteprima mondiale a Dok Leipzig. Nel 2017 esordisce alla regia con Moloch, lungometraggio composto da filmati amatoriali realizzati da autori anonimi tra anni ’80 e ’90, trovati casualmente dal regista in una discarica. Il film vince il premio miglior documentario al festival Visioni Italiane di Bologna, partecipa ai Doc/it Professional Awards 2017 e viene selezionato da numerosi festival internazionali tra cui DOCfeed Eindhoven, Gdansk DocFilm Festival, Presente Italiano di Pistoia, Documentaria Noto, Docunder30 di Ferrara. Il Secondo Principio di Hans Liebschner è il suo secondo lungometraggio.


Journeys 

(ITA, 20′, 2015)

di Hossep Baboyan, Paulina Mendoza, Lotta Ortheil, Francesca Borghesi, Andrea Lazzari

Nitidamente

(ITA, 9′, 2021)

di Elena Moro, Giovanni Perolo, Valeria Notarangeli

Le Flaneur

di Giorgia Ghiretti e Folco Soffietti

(ITA, 10′, 2019)

 

Realizzati nel Laboratorio di Cinema documentario dell’Università IUAV di Venezia

 


Ziva Postec, la monteuse derrière le film Shoah

(CAN, 92”, 2018)

di Catherine Hébert

Ziva Postec ha consacrato circa sei anni della sua vita al montaggio di Shoah di Claude Lanzmann, monumentale documentario, film-fiume passato alla storia e considerato ormai visione imprescindibile. Sarta delle ombre, Ziva si è dedicata al cinema fino all’ossessione. Da Jaffa in Israele, dove vive, racconta i suoi ricordi personali e le emozioni legate ad un’operazione creativa fuori dal comune che, con oltre nove strazianti ore di materiali d’archivio, fa luce sullo sterminio degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.

 


Safari Njema

(ITA, 17′, 2021)

di Guido Massimo Calanca e Daniele Vicari

Uriel a 14 anni fugge dal suo paese in guerra. Fa un lungo viaggio per attraversare l’Africa e il deserto ma in Libia viene internato per tre anni in un terribile centro di detenzione per migranti.
Conosce la fame, la malattia, la violenza più estrema e, anche lì, la guerra. Sopravvive a tutto questo sognando la libertà, finché un giorno, con alcuni suoi compagni di prigionia, riesce a salire su una barca e a partire verso l’Italia.

Appena approdato sulle coste siciliane viene mandato in un Centro per Richiedenti asilo, il secondo più grande in Italia, che ospita 500 persone, ma anche questa non sarà un’esperienza facile.
Un racconto che rivive anche grazie alle immagini realizzate da decine di migranti e raccolte da giornalisti e attivisti italiani.

NOTE DI REGIA
22 gennaio 2019, inizia lo sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto. Il secondo Centro di accoglienza più grande d’Italia, in pochi giorni, viene svuotato dei circa 500 ospiti che lo abitavano e di 107 operatori della cooperativa che lo gestiva. La maggior parte dei richiedenti asilo viene smistata in numerosi piccoli centri in giro per l’Italia, molti finiscono per strada, dopo aver perso lo status di richiedente asilo. La notizia sorprende e indigna la comunità locale che, dopo anni di complicata convivenza con gli ospiti del Cara, è riuscita a trovare un proprio percorso di integrazione, collaborazione, accoglienza e risveglia un sincero spirito di protesta che rapidamente si allarga a livello nazionale. Mentre il centro in pochi giorni si svuota, si moltiplicano le azioni a sostegno degli ormai ex ospiti e degli operatori, così come si moltiplicano rapidamente i servizi giornalistici e le interrogazioni parlamentari.
Una banda musicale, il secondo giorno di sgombero, improvvisa un concerto di fronte al Cara per portare un po’ di sostegno a chi attende di essere trasferito e ai manifestanti fuori dal centro. Soffia un vento gelido, smorzato un poco dal sole del pomeriggio. Donne, bambini, uomini, in un’atmosfera surreale, ascoltano i primi brani infreddoliti e preoccupati.
I pullman escono lentamente, carichi di persone, diretti verso mete a loro sconosciute del centro e del nord Italia. La struttura resta solo un enorme guscio di cemento vuoto, a pochi passi dai campi di girasoli e a qualche decina di metri dall’autostrada. Lungo la rete che la separa dalla strada molti indumenti sono appesi ad asciugare, alcuni sono agitati dal vento, altri sono caduti a terra. Una giovane donna, con un giaccone invernale, le ciabatte ai piedi e una pesante valigia in mano, si allontana lungo la strada che costeggia il centro, preceduta da un operatore tv che la riprende camminare, diretta chissà dove.
Per queste persone ricomincia così un viaggio che pareva terminato, o almeno sospeso, un itinerario indietro nel tempo, di settimane, mesi, anni, composto da brevi frammenti catturati da coloro che l’hanno eseguito. Improvvisamente si mischiano volti, lingue diverse, suoni, passi, luoghi lontani fra loro. Un ragazzo si prepara a partire, con pochi oggetti messi in uno zaino; alcuni ragazzi intonano una preghiera, una famiglia mangia qualcosa accampata in un bosco, delle donne cantano e festeggiano, in salvo sulla poppa di una nave. La sabbia si mischia alle onde del mare, ai boschi di qualche paese dei Balcani, alla neve sulle montagne francesi, ai gas lacrimogeni sparati dalla
polizia al confine fra Grecia e Turchia. I pianti dei bambini sono tutt’uno con le urla di paura di chi viene respinto. Un gommone stracolmo imbarca acqua al largo dalle coste greche, gli sguardi terrorizzati di chi è a bordo, le preghiere degli uomini che cercano di svuotarlo dell’acqua salata che rischia di farli annegare. La prua di una nave di una ong solca sicura le onde, il vento soffia forte nelle vele e un tramonto bellissimo la accompagna verso la prossima missione in mare aperto.


Sisters with transistors

(UK, 86′, 2020)

di Lisa Rovner

Sisters with transistors è la straordinaria storia mai raccontata delle pioniere della musica elettronica, compositrici che con le loro tecnologie liberatorie hanno trasformato completamente il modo in cui produciamo e ascoltiamo la musica oggi. Il film traccia una nuova storia della musica elettronica attraverso le donne visionarie le cui sperimentazioni radicali hanno ridefinito i confini della musica, Clara Rockmore, Daphne Oram, Bebe Barron, Pauline Oliveros, Delia Derbyshire, Maryanne Amacher, Eliane Radigue, Suzanne Ciani e Laurie Spiegel.


Heimat 

(ITA, 20′, 2021)

di Giovanni Montagnana

Il mare che non muore

(ITA, 13′, 2021)

di Caterina Biasiucci

 

Realizzati nell’ambito del Premio Zavattini – UnArchive


Pino

(ITA, 60′, 2020)

di Federico Francioni, Yank Cheng

Roma, estate 1968. Pino Pascali, all’apice di un fulminante percorso artistico, muore giovanissimo in un incidente motociclistico. Con lui scompare uno dei protagonisti di una straordinaria stagione creativa dell’arte italiana. Cinquant’anni dopo, il Museo Pascali di Polignano a Mare, terra d’origine dell’artista, compra ed espone la sua opera Cinque bachi da setola e un bozzolo. Il racconto del ritorno nei luoghi delle sue origini è l’occasione per una riflessione su Pascali in una  dimensione narrativa in cui spazio e tempo si piegano e si cancellano.